Gli smartphone sono costantemente a rischio privacy. Il motivo è semplice: si tratta di dispositivi costantemente connessi a internet e che, per questo, inviano e ricevono dati in continuazione in rete. Basta un’app maligna o un click di troppo su una mail phishing a far finire le proprie identità digitali, dai social network al conto bancario, nelle mani dei criminali informatici. Se a ciò aggiungiamo di avere sempre in tasca un aggeggio di localizzazione, che fa ping con torri e GPS e garantisce a più soggetti cookie di tracciamento e comportamenti di utilizzo, beh, non è facile affermare che in giro ci sia davvero un terminale completamente sicuro.
Tuttavia, in un’era di estremo monitoraggio (o presunto tale) e di spasmodica ricerca di vulnerabilità, molti produttori hanno lavorato per creare ecosistemi mobili in grado di restituire all’utente un buon livello di protezione nelle attività quotidiane. Per questo abbiamo scelto 5 smartphone più sicuri degli altri, convinti che in futuro ne vedremo sempre di più, al crescere delle minacce da parte di hacker, agenzie e governi.
BlackBerry Key2
L’ultimo nato della flotta BlackBerry è quello che meglio dei precedenti coniuga versatilità e sicurezza dei dati. Lo scopo è raggiunto grazie alla piattaforma DTEK, sviluppata internamente da BlackBerry, che funge da scudo nei confronti di tentativi di intrusione coordinati via web o tramite applicazioni. DTEK visualizza lo stato del dispositivo, suggerendo quali iniziative prendere per assicurarlo maggiormente, ad esempio impostando un blocco di sicurezza ed evitando di installare app esterne al Play Store ufficiale. Inoltre, nella suite è presente anche Privacy Shade, un metodo per scurire l’interfaccia del telefono a chi si ha intorno, sempre pronto a spiarci.
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iPhone X
Può un oggetto così consumer essere davvero sicuro? Assolutamente. Dopo la “novità” del Secure Enclave nel 2014, ovvero di una porzione hardware dove Apple conserva le informazioni sui codici di sblocco e dati biometrici dei possessori di iPhone, il passo successivo in termini di sicurezza è stato il Face ID. Ad oggi, il miglior mezzo per registrare e abilitare l’accesso con il volto rende molto più difficile una violazione da parte di terzi. Assieme alla crittografia AES 256, il Face ID mette al riparo i contenuti sensibili anche agli occhi di agenzie governative (è il caso dell’FBI) e cybercrime, consentendo alle persone di entrare in software di home banking con un elemento non duplicabile: il proprio viso. Accentrare il controllo delle app di default permette alla Mela di alzare il livello della privacy. È il caso di iMessage, che sostituisce per la community di iPhoner gli sms semplici e iCloud, servizio sulla nuvola completamente criptato.
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Blackphone 2
In Europa non ha avuto lo stesso successo che negli USA ma vi assicuriamo che il progetto di Silent Circle è davvero interessante. Il telefono gira intorno a un sistema operativo basato su Android ma personalizzato a scopo sicurezza: PrivatOS. Grazie a questo, ogni informazione riservata viene criptata e gestita tramite i server del produttore, compresi i messaggi di testo e le telefonate, così da rendere impossibile una loro intercettazione.
In aggiunta, Blackphone 2 sfrutta il concetto di Spazi per consentire la creazione di profili utenti separati, con applicazioni e contenuti multimediali differenti. In questo modo, se un hacker dovesse manomettere lo smartphone che in quel momento è su uno Spazio professionale, cadrebbero nelle sue mani solo le informazioni immesse nel profilo specifico, lasciando tutte le altre (ad esempio lo Spazio personale) nascoste e dunque irraggiungibili.
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Galaxy Note9
Non sarà il Face ID di Apple ma il mix di riconoscimento di volto e iride del Note9 fa il suo lavoro. Impostando l’autenticazione biometrica, nessuno potrà mettere le mani sul telefonino oppure usare applicazioni di finance abilitate alla protezione avanzata. Oltre a ciò, Samsung ha migliorato la funzione Area personale (prima Knox), dove inserire app, foto, video e qualunque altro documento che non si vuole tenere nell’interfaccia tradizionale del device. Per visualizzare i file in tale area bisogna farsi scansionare il viso o l’iride (o entrambi, come detto) al massimo solo il dito sul sensore di impronte; insomma un ottimo metodo per proteggere i contenuti più sensibili. A corredo rimane Knox, che previene tentativi di root e, in caso di sblocco positivo, segna per sempre il terminale, rendendolo non più idoneo a usufruire della garanzia della casa madre.
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Google Pixel 2 XL
Sebbene si parli di un dispositivo per la massa, Google ha lavorato molto per implementare a bordo dell’attuale generazione di Pixel procedure di sicurezza pari a quelle della concorrenza più rinomata. Per questo, sullo smartphone è presente un chip dedicato che funge da difesa contro gli attacchi informatici. L’hardware, a ogni accensione, verifica l’incolumità del kernel e protegge la manomissione del sistema operativo, bloccando tentativi plurimi (in gergo brute force) di inserimento del pin di accesso con la salvaguardia dei processi TEE, ovvero Trusted Execution Environment, limitando la digitazione incorretta del codice e impedendo l’utilizzo del cellulare dopo un certo numero di prove non andate a buon fine.
Come succede per il Secure Enclave di Apple, le informazioni sono conservate in una porzione esterna alla CPU, in modo da non poter essere decriptate senza la password del telefono. Inoltre, con l’aggiornamento ad Android Pie, un nuovo menu indica quali app usano i sensori (fotocamera, microfono, GPS) anche quando in stand-by e attive in background. In automatico, Android 9 ferma tali accessi non autorizzati, ibernando i programmi, eliminando i privilegi e riducendo il rischio di monitoraggio perpetuo.
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