Da un po’ di tempo non si fa che parlare di un nuovo “pericolo rosso” tecnologicamente armato, vale a dire gli smartphone prodotti dalle aziende cinesi che sarebbero progettati per spiare gli utenti in tutto il mondo. L’allarme lo ha lanciato l’intelligence statunitense, quindi si tratta di un pericolo più che fondato. O forse no, visto che sotto la superficie la situazione appare molto più complicata e i partner cinesi non sono affatto malvisti al di fuori degli USA.
All’origine dell’ennesimo scontro politico, commerciale e forse anche culturale tra Stati Uniti e Cina c’è un’audizione di CIA, NSA ed FBI davanti alla commissione sull’intelligence del Senato americano, con le tre organizzazioni concordi nel definire i produttori asiatici un “rischio per la sicurezza nazionale”. In particolare le agenzie a stelle e strisce hanno citato Zte e Huawei, due marchi molto attivi sui mercati del mobile e della connettività.
Huawei in particolare è anche uno dei brand di smartphone più popolari in Italia, piazzandosi terzo dietro Samsung (37,5% degli smartphone venduti) e Apple (18,7%) con una quota di mercato (16,3%) che nel 2017 risulta raddoppiata rispetto all’anno precedente. Anche in Italia, tuttavia, l’intelligence guarda da tempo con sospetto alle “marche cinesi” e al possibile cyber-spionaggio condotto tramite smartphone, sebbene all’atto pratico le autorità non facciamo molto per contrastare questa presunta minaccia alla “sicurezza nazionale” del Belpaese.
Di fatto, se negli Stati Uniti le agenzie a tre lettere lanciano allarmi e consigliano alla popolazione di non comprare cinese, in Italia e in Europa i colossi asiatici costituiscono da tempo dei partner indispensabili per le aziende di telefonia, i provider e le autorità locali. Il comune di Roma, per fare un esempio fra i tanti, ha recentemente stretto un accordo con Zte per avviare lo sviluppo della rete di connettività cellulare di prossima generazione (5G).
Forse, nel mondo uscito dalle rivelazioni di Edward Snowden sulla sorveglianza globale a stelle e strisce, gli Stati Uniti che gridano “al lupo al lupo” parlando dello spionaggio altrui non rappresentano una fonte particolarmente autorevole sui rischi per la cyber-sicurezza. I produttori cinesi sono ora difesi dal colosso tedesco Deutsche Telekom, che dice di non aver rivelato nulla di strano negli apparati acquistati dai partner. Una posizione tra l’altro corroborata da Bell Canada, che sottolinea una collaborazione decennale senza alcun segno di cyber-spionaggio.
Da ultimo è arrivato l’amministratore delegato di Vodafone Vittorio Colao, che al Mobile World Congress (MWC) di Barcellona ha preso le parti di Huawei definendola “un’azienda aperta e innovativa”. Vodafone Group ha 500 milioni di clienti in tutto il mondo e collabora con le intelligence di diversi paesi, ha spiegato Colao, e sull’hardware acquistato dall’azienda cinese non ha mai trovato nulla di strano. “E poi anche gli apparecchi dell’americana Cisco sono prodotti in Cina”, ha chiosato l’ad dell’operatore italiano.