Il boom degli ultimi mesi ha alzato l’interesse intorno ai bitcoin. Gli appassionati e i minatori conoscono la criptomoneta da anni mentre tutti gli altri stanno imparando solo adesso cosa vuol dire gestire un portafoglio digitale, vedere crescere il proprio bottino e, purtroppo, accorgersi di cali di valore repentini e improvvisi.
Nel giro di qualche mese, i bitcoin sono passati da un cambio di circa 8 mila a oltre 15 mila dollari, per poi attestarsi a qualche gradino più in basso sul quale si mantengono ancora oggi (oscilla tra i 10 e i 14 mila). C’è un’ulteriore conseguenza del clamore che circola sulla valuta: l’apertura di negozi online e fisici verso i pagamenti tramite coin, un trend che sta cementando ulteriormente la posizione del soldo come strumento di transazione globale e riconosciuto.
Il successo dei bitcoin si deve alla logica che vi è alla base, quella della blockchain. Tramite l’autovalidazione dei pacchetti scambiati tra i risparmiatori, la rete ha scoperto un metodo veloce e sicuro per effettuare spostamenti di valuta in maniera anonima. La rapida diffusione nel mondo del dark web si deve alla possibilità di acquistare prodotti e servizi spesso illegali senza lasciare traccia ed è paradossale quanto un tool fuorilegge abbia il potere di migliorare anche i processi economici e finanziari (ma non solo) consolidati.
In che senso? Sul treno della blockchain sono salite pubbliche amministrazioni, ospedali, persino istituti di credito, che riescono in tal modo a stringere un nuovo rapporto di fiducia con i clienti, assicurando uno scambio informativo privo di violazioni e perdita di dati (soprattutto in ambito sanitario).
Non deve sorprendere l’ascesa senza limiti delle cosiddette cryptocurrency. Se i bitcoin sono in cima a un’ideale lista delle più utilizzate, almeno altri cinque cugini stretti hanno il potenziale per sfondare, facendo addirittura meglio del traino inventato da Satoshi Nakamoto, il nome dietro alla prima transazione via blockchain.
Ethereum
Non c’è un solo navigatore della rete nascosta che non li conosca. A inventare Ethereum è stato il matematico Vitalik Buterin, che ha applicato la teoria dei blockchain a un ecosistema che va oltre la possibilità di pagare o scambiare valuta crittografata. Sotto il cappello della Enterprise Ethereum Alliance sono state create applicazioni per gli usi più disparati, dalla gestione finanziaria alle chat. A svilupparle sono software house indipendenti ma anche gente del calibro di Microsoft, Samsung e JP Morgan, non proprio gli ultimi arrivati. Per il pubblico globale, il portale di riferimento è OpenBazaar, una sorta di Amazon su cui pagare tramite moneta sicura.
LiteCoin
Più o meno coetaneo dei bitcoin, LiteCoin nasce dalla mente di Charles Lee, ex dipendente di Google. In comune con gli altri ha sempre la solita blockchain ma gode di un vantaggio enorme: grazie a un nuovo algoritmo, il quantitativo di monete coniabili è più elevato e non circoscritto al limite dei 21 milioni di bitcoin. Cioè, poggiando su una serie di calcoli numerici, è stabilito che oltre quella somma la criptomoneta per eccellenza non possa andare, così da porsi più come merce rara (tipo l’oro) che sostituto di dollari ed euro. LiteCoin invece ha davanti a sé un futuro più ampio, almeno in termini di mining e disponibilità.
Monero
Quando si parla di anonimato, in ambito finanziario, non si può non menzionare Monero. La valuta in questione estremizza ulteriormente il valore della blockchain. Se quest’ultima consente un passaggio di soldi digitali privo di riferimenti in grado di ricondurre a identità reali (ogni risparmiatore porta con sé solo l’hash di una transazione, nulla più), Monero sfrutta il cosiddetto ring-signatures per rendere ancora più difficile il tracciamento della moneta tra i soggetti contraenti. Lo fa affibbiando ad ogni scambio una firma che riconduce non al singolo utente ma al blocco a cui appartiene, per proteggere con un livello di astrazione maggiore gli iscritti.
Ripple
Questa è la criptovaluta del momento. In 12 mesi ha guadagnato circa il +35.000%, con un valore di scambio che ha toccato quota 2,5 dollari, quando un anno fa era a 0,6 centesimi. Poco rispetto ai bitcoin ma solo perché questi partivano da una base exchange più ampia. L’ascesa di Ripple si deve a una cordata di banche asiatiche che ha annunciato di voler utilizzare il token proprietario per creare un nuovo tipo di carte di credito, esenti da violazioni o attacchi hacker. Il tutto semplificato da un sistema di gestione centrale, molto simile a quello utilizzato dagli istituti di credito classici.
NEM
Figlio legittimo dei bitcoin, il NEM nasce da un forum di appassionati della criptovaluta della prima ora. Relativamente giovane (marzo 2015), sposa la logica di Ethereum nel creare un ecosistema più ampio, nel quale lo scambio di denaro sia solo una delle tante componenti. Nell’universo di NEM troviamo infatti un servizio di messaggi, gestione di domini internet, asset aziendali e molto altro. Il suo utilizzo è alquanto popolare in Giappone, anche a livello istituzionale e dunque conviene osservarne per bene la crescita visto che prima o poi il suo valore esploderà anche da noi, a seguito di un aumento di adozione a livello globale.